Le origini
Josef Innerkofler, detto Sepp, nacque a Sesto il 28 ottobre 1865. Divenne guida alpina nel 1889 e conquistò una certa fama dopo aver raggiunto per primo la vetta della Cima Piccola di Lavaredo, accompagnato da due compagni di cordata.
Oggi il suo nome è indissolubilmente legato al rifugio Locatelli-Innerkofler, situato alle Tre Cime di Lavaredo, ma pochi sanno che fu proprio lui a fondarlo e a gestirlo come primo custode, fin dal 1898.
Non si fermò lì: fondò anche il rifugio Zsigmondy (oggi noto come Zsigmondy-Comici) e, in val Fiscalina, investì i proventi dei rifugi nella costruzione dell’albergo Dolomiten, una struttura all’avanguardia per l’epoca, dotata dei migliori comfort disponibili.

Una figura tra storia e leggenda
Già questa breve biografia ci fa intuire quanto Sepp Innerkofler fosse un personaggio affascinante, a tratti mitico. Ma furono le sue imprese durante la Prima Guerra Mondiale a consegnarlo alla storia.
Nonostante fosse esentato dall’obbligo militare a causa dell’età — allo scoppio della guerra aveva circa 50 anni — decise di arruolarsi volontario negli Standschützen, le milizie territoriali tirolesi. Nessuno conosceva meglio di lui le montagne, e il suo infaticabile servizio di ricognizione causò notevoli difficoltà alle truppe italiane sul fronte dolomitico delle Tre Cime.
25 maggio 1915
Al quinto colpo la mia casa s’incendia. Mentre scrivo qui sul Paterno, brucia il Rifugio giù in fondo, il rogo tra i monti fa un’impressione imponente. Laggiù il fuoco, quassù battiamo i denti dal gelo. […] Adesso, Dio sia lodato, c’è il sole, e tutto questo mi appare più interessante che pauroso e terribile.— Dai taccuini di guerra di Sepp Innerkofler
Il fronte dolomitico delle Tre Cime di Lavaredo
Il fronte presso le Tre Cime di Lavaredo rimase sostanzialmente statico durante il lungo periodo della guerra di trincea. Le postazioni austriache si estendevano dalla Torre degli Scarperi alla Torre di Toblin, proseguendo verso la forcella di San Candido e la val Fiscalina.
Le truppe italiane avanzarono rapidamente tra maggio e agosto del 1915. Da una semplice postazione a forcella Lavaredo, conquistarono il monte Paterno e, passando per la forcella del Camoscio — dove era stato piazzato un cannone — proseguirono lungo la linea delle forcelle fino all’attuale rifugio Pian di Cengia.
L’esercito italiano controllava anche il rifugio Dreizinnen, il Sasso di Sesto e l’intera piana sottostante le Tre Cime, nota come Pian da Rin. Di notte, l’area veniva illuminata da un gigantesco riflettore installato sulla sommità della Cima Grande di Lavaredo (2.999 metri), la cui cima venne addirittura “spianata” per ospitare il faro.
L’ultima impresa di Sepp Innerkofler

Sepp Innerkofler trovò la morte il 4 luglio 1915, proprio sulla cima del Monte Paterno, in circostanze ancora oggi avvolte nel mistero. L’obiettivo della sua missione era quello di attaccare le truppe italiane che si erano da poco insediate in vetta, protette dal cannone posizionato alla forcella dei Camosci. Oggi quel luogo è noto per essere il punto d’innesto di tre vie attrezzate: la ferrata alla cima del Paterno, la ferrata delle Forcelle e il sentiero che attraversa la galleria del Paterno fino al rifugio Dreizinnen.
La missione era disperata, come lui stesso aveva previsto. Alle prime luci dell’alba, la spedizione terminò tragicamente. Secondo una versione, fu il soldato italiano De Luca a colpirlo lanciandogli contro una grossa pietra — oggi il celebre sentiero De Luca–Innerkofler prende il nome da entrambi.
Un’altra versione sostiene invece che fu ucciso per errore dal fuoco amico, colpito da una raffica di mitragliatrice proveniente dalle stesse postazioni austriache. Il figlio di Sepp, Gottfried, assistette impotente alla scomparsa del padre, osservando la scena con il binocolo.
Il corpo fu successivamente recuperato dagli Alpini e sepolto sulla cima del Monte Paterno. In seguito venne trasferito nel cimitero di Sesto, dove riposa ancora oggi.
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